Diversity, Equity e Inclusion, molto più di una sigla. Intervista a Cuomo e Raffaglio dell’Università Bocconi
Negli ultimi anni, il tema della diversità e dell’inclusione nelle organizzazioni è diventato sempre più rilevante, soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione strategica di un’impresa. Si tratta infatti di concetti che rappresentano principi fondamentali per arrivare a costruire un ambiente di lavoro che rispetti e apprezzi ogni individuo. Per approfondire cosa significa realmente inclusione e diversità in azienda, e le criticità che le organizzazioni possono incontrare in questo percorso, abbiamo intervistato Martina Raffaglio, SDA Bocconi Fellow – LEADERSHIP, HUMAN RESOURCES AND DIGITAL TECHNOLOGIES; Academic fellow Department of management and technology e Simona Cuomo, SDA Bocconi Associate Professor of Practice – LEADERSHIP, HUMAN RESOURCES AND DIGITAL TECHNOLOGIES. Le due esperte ci offriranno una panoramica dettagliata e preziosi spunti su cosa vuol dire implementare pratiche inclusive ed efficaci nelle aziende, e quali benefici porta.
Diversity, equity e inclusion, tre termini da conoscere quando si parla di inclusività sul posto di lavoro
La sigla “DEI” sta per Diversity, Equity, and Inclusion, tre concetti che insieme formano la base per un ambiente di lavoro equo e rispettoso.
Il concetto di diversità fa riferimento alle molte differenze che esistono tra le persone – tra cui razza, genere, età, orientamento sessuale, abilità fisiche, credenze religiose e background socio-economico. Quando un’azienda abbraccia la diversità, riconosce e celebra queste differenze, comprendendo che ogni individuo porta con sé un insieme unico di esperienze e prospettive. Questa varietà arricchisce la cultura aziendale ma stimola anche l’innovazione e la creatività: da un gruppo eterogeneo, infatti, possono nascere più facilmente idee diverse, e anche gli approcci emergono naturalmente.
L’equità riguarda la giustizia nelle pratiche aziendali: ogni dipendente o collaboratore deve avere accesso alle stesse opportunità, pur riconoscendo che le persone partono da basi diverse e possono avere bisogno di supporti differenti per raggiungere lo stesso obiettivo. Non si tratta, dunque, di trattare tutti allo stesso modo, ma di capire e rispondere alle diverse esigenze per garantire che ogni persona possa esprimere il proprio potenziale al meglio.
Infine, l’inclusione è ciò che rende reale la diversità e l’equità. Creare un ambiente inclusivo significa fare in modo che ogni persona si senta accolta, rispettata, supportata e valorizzata. Non basta avere una forza lavoro diversificata: è essenziale che ciascuno si senta parte integrante dell’organizzazione, con la possibilità di partecipare attivamente e di influenzare le decisioni. L’inclusione trasforma un insieme di individui diversi in una squadra coesa e collaborativa, dove ogni voce è ascoltata e ogni contributo è apprezzato.
Insieme a Martina Raffaglio e Simona Cuomo andiamo ora ad approfondire in che modo questi concetti possono entrare in azienda, e migliorare l’efficacia del lavoro.
Cosa si intende per organizzazione inclusiva
“Un’organizzazione inclusiva può dirsi tale se non solo non teme le diversità dei lavoratori, ma le fa proprie affinché essi possano liberamente agire le proprie identità” spiegano Raffaglio e Cuomo. “Inoltre, si impegna attivamente a combattere stereotipi, pregiudizi e discriminazioni, affrontando e gestendo i conflitti che possono sorgere dalle diversità presenti. Quando necessario, prende anche la difficile decisione di escludere chi genera conflitti intrattabili, per mantenere un ambiente di lavoro sano e collaborativo. Tutti i lavoratori sono trattati con dignità, ricevendo una giusta retribuzione e beneficiando di un buon equilibrio tra vita privata e lavorativa. Inoltre, a ciascuno viene garantita la possibilità di partecipare in modo significativo ai processi decisionali, assicurando che ogni voce sia ascoltata e considerata”.
Queste, dunque, le basi di partenza su cui definire i concetti di Diversity, Equity e Inclusion: ma come nasce questo concetto e come si è evoluto nel tempo?
I limiti del Business case neoliberista
Quando parliamo di diversità, equità e inclusione, spesso ci si imbatte in discussioni che cercano di giustificarne l’importanza tramite il cosiddetto Business case di matrice neoliberista. Secondo questo approccio, promuovere l’inclusione sarebbe vantaggioso per le aziende perché può portare a migliori risultati economici, come aumento della produttività, innovazione e soddisfazione dei clienti. Tuttavia, si tratta di un modo di pensare che può essere limitante e fuorviante, come spiegano Cuomo e Raffaglio.
“Il problema principale del business case neoliberista è che cerca di misurare l’inclusione in termini puramente economici, trascurando gli aspetti etici e sociali. In molti casi, gli effetti positivi dell’inclusione sono difficili da quantificare e tradurre in numeri aziendali concreti. Inoltre, cosa accadrebbe se in alcuni contesti scoprissimo che l’inclusione non è conveniente dal punto di vista economico? Se un’azienda cerca una giustificazione puramente economica per l’inclusione, sta già commettendo un errore di fondo, perché l’inclusione dovrebbe essere un valore intrinseco, non solo uno strumento per aumentare i profitti”.
Come ricordano le due esperte, “già in un articolo del 1948 pubblicato sull’Harvard Business Review a commento dell’ipotesi di estendere a livello nazionale, negli Stati Uniti, la legislazione antidiscriminazione, si legge che la discriminazione non è economicamente vantaggiosa, perché alcuni lavoratori sono costretti a svolgere lavori che non sono coerenti rispetto alle loro abilità e questo, a livello complessivo, genera un utilizzo inefficiente della forza lavoro”.
Perché lavorare per un’organizzazione più inclusiva: i vantaggi di un approccio omnicomprensivo
I vantaggi dell’inclusione, dunque, vanno ben oltre il mero aspetto economico. “Un ambiente inclusivo promuove l’innovazione, poiché diverse idee e prospettive emergono più facilmente in un contesto eterogeneo” spiegano le esperte. “Inoltre, rispondere alle esigenze di un mercato in continuo cambiamento diventa più semplice: un’organizzazione inclusiva è in grado di allinearsi meglio ai nuovi bisogni delle persone e di espandere la propria base di clienti”.
Non solo: “l’inclusione, inoltre, favorisce la sicurezza psicologica, che è alla base della motivazione dei dipendenti” ricordano Raffaglio e Cuomo. “Quando un’organizzazione si impegna a gestire con attenzione il merito e l’equità, si crea un ambiente dove i lavoratori si sentono inclusi e riconosciuti per i loro meriti. L’approccio contrario può portare al cosiddetto ‘minority stress’, ovvero lo stress delle minoranze, che ha effetti negativi sul benessere e sulla produttività”.
I limiti dell’applicazione della DEI nelle aziende
“I gap nelle aziende sono numerosi e complessi, spesso derivanti dalla discrepanza tra ciò che viene dichiarato e ciò che viene effettivamente realizzato” esordiscono le esperte. “La disponibilità dei dati è frammentata e difficile da rintracciare in modo sistematico, e spesso l’implementazione della DEI è limitata a iniziative isolate o target specifici. Ad esempio, un’azienda potrebbe affermare di impegnarsi nella DEI semplicemente organizzando un workshop e pubblicizzandolo come prova del proprio impegno, senza intraprendere ulteriori azioni significative”.
Cosa dovrebbero fare le aziende, dunque, per colmare questi gap?
“Sicuramente la prima azione è quella di adottare un approccio a medio e lungo termine che coinvolga vari target e categorie. È essenziale combinare azioni top-down, partendo da una visione strategica del tema, con azioni bottom-up, soprattutto se l’organizzazione è distribuita sul territorio e poco centralizzata. Le antenne locali, o champions, devono dialogare continuamente con i dipendenti per raccogliere i loro bisogni e prevenire la creazione di pratiche e politiche astratte e inefficaci” spiegano Cuomo e Raffaglio.
Il lavoro su questi tre livelli è fondamentale:
- livello strategico: la DEI deve essere inclusa nell’agenda strategica dell’azienda. Questo comporta la revisione dei processi e la definizione di ruoli specifici per gestire questi temi, come responsabili o champions che promuovano la diversità all’interno dell’organizzazione;
- livello organizzativo: questi sono manager o team specifici (come dipartimento HR o Comunicazione) che, oltre alle loro funzioni principali, si fanno promotori delle tematiche di diversità e inclusione. Possono formare comitati o team dedicati a questi scopi, assicurando che le iniziative DEI siano ben radicate e diffuse in tutta l’azienda;
- livello educazionale: Implementare modelli di leadership inclusivi e formare i leader su come gestire e promuovere la DEI è essenziale. Così facendo, non solo si diffonde il messaggio, ma è anche possibile farlo percepire come genuino e importante, aumentando la sicurezza dei dipendenti.
“Solo attraverso un impegno coordinato e costante su questi livelli, le aziende potranno colmare i gap esistenti e costruire un ambiente di lavoro realmente inclusivo. Questo non solo migliorerà il benessere e la motivazione dei dipendenti, ma contribuirà anche a creare un’organizzazione più resiliente e competitiva” concludono Raffaglio e Cuomo.
Diversity, Equity e Inclusion in Relyens: le azioni concrete del Gruppo
In questo contesto, la direzione Risorse Umane del Gruppo Relyens è da tempo impegnata nell’integrare una serie di azioni concrete sui temi della Diversity, Equity e Inclusion nella cultura organizzativa, partendo dal primo obiettivo che è quello di creare una grammatica condivisa in ogni Business Unit.
Dopo una serie di impegni e di iniziative affrontati negli anni precedenti sulle altre due dimensioni degli impegni in ambito ESG – ovvero l’asse ambientale e la governance – il Gruppo Relyens ha lanciato il programma “Diversità e Inclusione” affrontando dunque l’ultimo asse, quello dell’impatto sociale. Si tratta di un programma vasto che vedrà diverse tappe nel corso dei prossimi anni e che ha avuto il suo inizio con la conferenza di apertura dello scorso 17 maggio, moderata da Cuomo e Raffaglio, e con la comunicazione di un insieme di iniziative volte alla sensibilizzazione dell’intera popolazione aziendale.
“A partire da quest’anno sono disponibili numerosi corsi di formazione sui temi del genere, dell’interculturalità e dell’ intergenerazionalità, sui bias cognitivi, sull’inclusività, e ancora sulla comprensione delle microaggressioni e sull’uguaglianza professionale” spiega Roberta Atzeni, HR Manager di Relyens in Italia.
“Questi corsi, disponibili in modalità interattiva e digitale, verranno alternati ad iniziative e momenti di approfondimento sui vari temi della DEI con l’accompagnamento di esperti esterni”.
L’obiettivo di Relyens è dunque affiancare, alle già numerose azioni concrete sull’inclusività, la costruzione di una cultura che sia coerente con i principi della diversità, dell’uguaglianza e dell’inclusività.